Tfr in busta paga. Ecco perché è la solita fregatura ai danni dei cittadini

Una delle grandi urgenze di questo periodo è far ripartire i consumi. Senza quelli, non c’è speranza per la ripresa economica. Di soldi però ce ne sono pochi, la liquidità scarseggia. Dunque occorre lavorare di creatività.

Ecco l’ultima trovata del Governo: inserire in busta paga parte dei contributi destinati al Tfr. In media si parla di circa 100 euro al mese. Non male, ma in verità c’è poco di cui gioire.

Il Tfr, Trattamento di Fine Rapporto, non è altro che la “buonuscita”, ossia il contributo che un lavoratore riceve una volta andato in pensione. Il “gruzzolo” è frutto dei contributi che il lavoratore stesso ha versato mese per mese.

La proposta prevede che parte di questi contributi non vada in accumulo ma compaia in busta paga, pronta per essere spesa.

Fin qui sembra una buona idea. Eppure ci sono alcune controindicazioni pesantissime.

In primo luogo, si priva il lavoratore di denaro che con tutta probabilità gli servirà una volta andato in pensione. Il Tfr, infatti, è utilizzato per integrare a livello economico una pensione che spesso non raggiunge lo stipendio ricevuto fino a poco tempo prima. Soprattutto, è utilizzato per “finanziare” il matrimonio di un figlio o la sua entrata nel mondo del lavoro.

In secondo luogo, ed è questo il particolare più importante, se il Tfr va in busta paga, verrà tassato come se fosse un reddito da lavoro. Nella sostanza, lo Stato preleverà parte del Tfr sotto forma di imposizione fiscale. Per questo la proposta appare una fregatura: in estrema sintesi coincide con un aumento delle tasse.